Una dichiarazione finale per un impegno comune espresso in 12 punti da sottoporre all’attenzione dei lavoratori, degli economisti, dei governi del mondo e delle istituzioni finanziarie internazionali. Si è chiusa così The Economy of Francesco, l’iniziativa internazionale digitale che ha chiamato a raccolta le voci e le proposte di centinaia di migliaia giovani e change maker di 115 Paesi diversi con l’obiettivo di creare un laboratorio permanente capace di strutturare un nuovo patto per l’economia. Più sostenibile, umana, non orientata solo al profitto.
E se tra le proposte avanzate alcune, tra cui il rallentamento della corsa al consumo delle risorse ambientali e la cancellazione dei paradisi fiscali, implicano decisioni ai più alti livelli nella scala del potere globale, la narrazione del futuro espressa da Papa Francesco al termine dell’incontro internazionale ci coinvolge tutti. Le parole di Bergoglio per la nuova normalità colmano, infatti, ogni distanza, entrano nelle nostre case, hanno un impatto diretto nelle nostre abitudini di ogni giorno e ci obbligano a discutere il modo in cui ci comportiamo, ci relazioniamo, lavoriamo. Perché l’invito rivolto a tutti e a ciascuno di diventare lievito nella società squarcia la stanchezza con cui, in molti, viviamo questa seconda ondata pandemica. Lo vedo in me, lo noto negli altri: proprio mentre siamo chiamati a pensare la nuova normalità post-COVID19, ci sentiamo sfibrati, stanchi e viviamo il ritorno al “prima” come un miraggio. Nonostante le storture di quel passato sempre invocato.
Eppure è adesso il tempo della svolta. O siamo coinvolti a progettare una nuova narrativa della società oppure, ha dichiarato Papa Francesco, la storia ci passerà sopra. Superata la crisi, ha spiegato, la peggiore reazione sarebbe cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forma di auto-protezione egoistica. Al centro delle nostre riflessioni, e soprattutto dell’economia, dovrà invece esserci l’uomo, non più condannato a perseguire solo il profitto. Perché se qualcosa la crisi sanitaria ci ha insegnato è proprio l’insostenibilità del vecchio mondo in cui abbiamo vissuto, fino a gennaio 2020.
Parole forti che possono spaventare. Soprattutto chi, in questa fase, sta pagando un grave tributo alla pandemia in termini di sacrifici economici personali, indebitamento, difficoltà a fare fronte alle spese della vita quotidiana. Lo so: da economista sociale e promotrice del microcredito in Calabria considero la lotta alla povertà della nostra terra pane quotidiano. Una fragilità consolidata, e oggi progressiva, che angustia le famiglie e che è certificata dalle indagini. Secondo la nota congiunturale sull’economia della Calabria pubblicata da Banca d’Italia nei giorni scorsi, infatti, la domanda di beni e servizi in regione è notevolmente calata e l’operato di imprese e famiglie è fortemente condizionato dall’incertezza. Non solo gli autori segnalano una contrazione significativa del fatturato delle imprese, con una diffusa revisione al ribasso dei piani di investimento, ma sottolineano anche un rapido deterioramento delle prospettive occupazionali. Soprattutto femminili, va aggiunto. I dati ISTAT, secondo cui nel 2020 ci sono state in Italia 470mila occupate in meno rispetto al secondo trimestre del 2019, confermano che anche nel nostro Paese (già debole da questo punto di vista) è in atto il fenomeno globale individuato come she-session: una recessione che colpisce soprattutto le donne.
Ecco, allora, come possiamo, in questo benedetto Sud, accogliere le parole del Papa? Sono queste parole per noi? Di più, dico. Sono parole con noi. Perché nell’invito a perseguire un’economia nuova, fondata sulla tutela dei beni comuni, che non sia solo green, ma capace di includere i più deboli (facendoli sedere, come ha dichiarato Bergoglio, al tavolo delle discussioni), c’è un ribaltamento che fa prima di tutto bene a chi soffre di più. Quella dell’economia di Francesco è una visione per il superamento dell’assistenzialismo, che tante ferite ha lasciato aperte e tante fratture sociali ha reso più profonde: dando dignità ai soggetti economici fragili riconosciamo loro la capacità di portare il pane nelle proprie case. Scorgo qui, tra le frasi di Francesco, una chiamata alla competenza di ciascuno, al talento più evidente e al saper fare più nascosto e più minuto, e un invito alle istituzioni, economiche e politiche, ad intervenire per l’affermazione delle persone (non solo lavorativa, ma in termini di crescita spirituale, istruzione, benessere).
“La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale”. Così, infine, ricordando il pensiero di Papa Benedetto XVI, Bergoglio si rivolge di nuovo a tutti noi. Dobbiamo pretendere insieme a una nuova narrazione economica anche un diverso modo di occuparsi della cosa pubblica che non includa i fragili solo come presenza nominale ma li renda protagonisti di un mondo nuovo.
Riusciremo a cogliere la portata epocale dell’economia di Francesco? Sapremo rendere il nostro lavoro un campo di cambiamento concreto e sapremo trasformare la nostra esperienza di vita in lievito per la società? La risposta non è scontata. Porsi la domanda, però, è obbligatorio.
Katia Stancato