Le tre province più esposte al rischio usura in Italia sono tutte calabresi: Crotone, Reggio e Cosenza, in questo ordine, sono sul drammatico podio nazionale. Lo afferma una nota Caritas dello scorso giugno pubblicata per la diffusione dei dati aggiornati del Rapporto della Consulta Antiusura: in 11 anni sul piano nazionale il numero delle famiglie in fallimento economico è aumentato del 53%. Un’evoluzione drammatica, possibile anticamera di esperienze di nuova povertà, soprattutto dopo l’impatto dell’esperienza Covid19 che il Presidente del Consiglio Mario Draghi, durante l’intervento programmatico al Senato, ha definito con pochi precedenti storici sulla disuguaglianza nel Paese. Non solo, riprendendo un tema a lui caro già nelle vesti di Governatore della Banca d’Italia ha sottolineato come l’incidenza dell’illegalità nell’economia del nostro Paese pone un freno alla crescita dal grande impatto su scala sociale, ma anche, aggiungo, familiare e infine individuale. L’illegalità, e nello specifico l’usura, ha il potere mortifero di avviare una spirale in grado di schiacciare l’individuo fino alla vergogna della vita in comunità. Sono calabrese. Sono una economista sociale e opero come tutor dell’Ente Nazionale per il Microcredito ormai da anni sul mio territorio. In quelle che chiamo le mie vite precedenti ho avuto l’onere e l’onore di rappresentare il mondo della cooperazione e di dare voce al Forum del Terzo Settore, di lavorare con la convinzione costante di dover agire a fianco dei più vulnerabili. Fino ad oggi, momento in cui siamo tutti fragili tra i fragili. I dati Caritas, le informazioni restituite dalla Consulta Antiusura hanno per me, e per tutti gli operatori di microcredito nel Paese, una faccia, una voce, un indirizzo. Non sono informazioni statistiche. Sono persone cui tendere una mano nel tentativo di agire prima che riescano a farlo le cupe sentinelle degli usurai. Purtroppo è così: la rete di chi opera nell’illegalità è capillare, informata, veloce. Riesce a captare in fretta e con grande efficienza le difficoltà delle imprese territoriali e dei nuclei familiari. Dispone di un esercito di vere sentinelle capaci di farsi trovare fuori la porta di casa o a pochi passi dall’uscio di un istituto bancario proprio quando c’è bisogno di un prestito. Potendo agire, oltretutto, con la capacità di erogare servizi differenti. L’usura, infatti, non è un fenomeno omogeneo, ma nel tempo ha cambiato forma e sostanza, articolandosi con efficacia. Non si tratta più, infatti, soltanto della veloce dotazione di denaro a tassi vertiginosi, ma assume articolazioni diverse, esplicandosi, per esempio, in servizi e attività di natura economica. Il corrispettivo, in sostanza, può diventare la cessione di beni, di proprietà, ma anche di lavoro, nei casi di mancata possibilità a restituire il prestito. Qual è l’impatto sui territori? Difficile stabilirlo. Come ha avuto occasione di spiegare Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana nell’ambito dell’assemblea annuale della Consulta Nazionale Antiusura lo scorso ottobre, l’usura è spesso un fenomeno di ardua misurazione e rilevazione, sommerso, caratterizzato dall’ampiezza della domanda e dell’offerta. Le denunce sono, al contrario, molto poche. Secondo le stime aggiornate della Consulta Nazionale Antiusura Giovanni Paolo II Onlus, sono circa 2 milioni le famiglie in condizioni di sovra-indebitamento e altre 5 milioni sono appena “sopra-soglia”, ossia in equilibrio precario tra reddito disponibile e debiti ordinari. Tra queste circa 350 mila famiglie, per un totale di 800 mila persone, sono nell’area dell’usura. Un numero già da pelle d’oca ma che è destinato a crescere. La crisi pandemica, infatti, sta lasciando il segno con una forza e una incidenza particolari. Secondo il rapporto di usura: una realtà del territorio che si contrasta con il microcredito proGetti Katia stancato Tutor di Microcredito Caritas Italiana “Gli anticorpi della solidarietà”, pubblicato lo scorso 17 ottobre in occasione della Giornata Mondiale di Contrasto alla Povertà, il nostro Paese ha registrato nel secondo trimestre 2020 una flessione marcata del PIL, l’occupazione ha visto un calo di 841mila occupati rispetto al 2019 con una contemporanea e significativa impennata degli inattivi, ossia delle persone, sempre più numerose, che smettono di cercare lavoro. Analizzando il periodo maggio-settembre del 2019 e confrontandolo con lo stesso periodo del 2020, dal rapporto emerge che l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. In particolare sul totale è aumentato il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza, ben il 52%, e delle persone in età lavorativa. Di fronte a questi numeri e a uno scenario che rappresenta terreno fertile per l’emersione capillare di nuovi casi e forme di usura, l’istinto è quello di parafrasare un noto e drammatico titolo di giornale. Non più “Fate presto” ma “Fate ora”. Così, se la nuova normalità post-Covid sembra profilarsi sotto il segno di una povertà più capillare e diffusa, tra gli strumenti preziosi del dopo pandemia avrà un ruolo determinante la microfinanza. Come arma di contrasto all’usura, scudo materiale e ideale, ma anche con incentivo a una domanda di futuro ancora e nonostante tutto capillare e pervasiva. Lo sostengo senza mezzi termini e lo dichiaro ormai da tempo: il microcredito è la risposta alla ricerca di avvenire che, nonostante la pandemia e le sue conseguenze, le persone naturalmente esprimono. Lo sostengo facendo sentire la mia voce da una delle province sul drammatico podio dell’usura: Cosenza, dove vivo. Le persone vogliono investire: i piccoli imprenditori emergenti continuano a volersi affermare e a cercare gli strumenti per farlo. Dobbiamo portare il microcredito alle loro porte arrivando prima della rete dell’illegalità, e arrivandoci anche meglio. Con più capacità di appeal.
La mia è una proposta in tre passi lungo la strada di un accesso più facile e diffuso al microcredito: abbattimento delle spese, riduzione dei tempi, istruttoria nel merito delle proposte. So di rivolgermi a una platea di lettori estremamente esperti e so di condividere con ciascuno la pratica di una prossimità ai piccoli imprenditori emergenti utile ad avvertire forti e chiare le loro più diffuse e spesso antiche difficoltà. Tra le misure per la riduzione dei costi immagino, ad esempio, l’abbattimento del tasso di interesse cui connettere un’accelerazione nei tempi necessari per la concessione del credito i quali rappresentano troppo spesso un ostacolo in grado di scoraggiare le persone, anche le più determinate, dalla volontà di rivolgersi alle banche. Agli istituti bancari rivolgo anche un altro appello: date fiducia ai tutor. Con noi è possibile avviare una valutazione nel merito non solo creditizio ma delle proposte imprenditoriali con il vantaggio di offrire garanzie mirate e orientate alle attività economiche più convincenti e, passatemi il termine, futuribili. Un tema questo, della possibilità di avvenire, che dobbiamo affrontare anche da un’altra angolazione, ossia con lo sguardo non solo rivolto alle imprese. Ma alle famiglie. Alle 350mila famiglie già nell’area dell’usura dobbiamo tendere una mano aiutandole a rispondere alle esigenze dei bilanci familiari e dell’eccessivo indebitamento. Lo strumento principe è il microcredito d’emergenza, di natura profondamente sociale. La famiglia, ricordo a tal proposito una riflessione già proposta dall’Ente Nazionale per il Microcredito, è la prima impresa nelle nostre società: possiede le caratteristiche fondamentali in termini di organizzazione ed economicità; produce ricchezza, crea risparmio e sostiene l’economia nei momenti di crisi; fornisce servizi essenziali e non sostituibili in termini di educazione, formazione, cura, assistenza. La famiglia è la prima produttrice di capitale umano, sociale e civico, perché qui sono poste le basi di una cittadinanza attiva e partecipe, pilastro della società. Lo sguardo benevolo e la mano aperta, tesa verso le famiglie, non sono strumenti adatti solo a compiere un’opera di prossimità, doverosa sul piano morale e di grande valore, ma rispondono a un interesse economico più generale. Farsi trovare accanto ai padri, alle madri, offrire una sponda, significa presidiare con la propria presenza lo spazio di vicinanza che la rete delle sentinelle dell’illegalità punta ad occupare con violenza, efficienza, in modo costante e informato. In questo senso, il microcredito d’emergenza, o di solidarietà, ha in sé il potere formidabile di coniugare lotta all’usura, prossimità alle persone, sostegno alle comunità. Lo ribadisco: strutturare strumenti e sistemi forti di solidarietà non rende un Paese solo migliore perché più generoso o capace di inclusione, ma lo rende economicamente più credibile, più solido, capace di produrre ricchezza e benessere diffusi. La solidarietà non va considerata come un costo sociale, ma come la chiave di ingresso a una nuova normalità all’insegna di un’economia più solida, di una legalità più diffusa, di una crescita profondamente e pienamente inclusiva. Concludo con una ulteriore riflessione. Se lo strumento principe per l’inclusione finanziaria è l’accesso al microcredito, sia imprenditoriale che di emergenza (o come ha avuto modo di nominarlo la Caritas: prestito di solidarietà), per la piena realizzazione dell’obiettivo non va dimenticato un tema di grande rilevanza: l’educazione finanziaria. La divulgazione, come strumento di conoscenza e consapevolezza, è fondamentale strumento di prevenzione delle forme di indebitamento e quindi costituisce un argine al dilagare del reato di usura. Secondo una indagine tematica OCSE-PISA di maggio 2020, in Europa l’Italia è agli ultimi posti per la diffusione dell’educazione finanziaria tra i giovani. Un dato in linea con l’approccio degli adulti. Una indagine del 2018 della Banca d’Italia orientata a misurare la diffusione dell’educazione finanziaria nella popolazione adulta ha rilevato un gap sostanziale tra il nostro Paese e il resto dell’area OCSE rispetto ai livelli di conoscenza di base sui temi legati alla finanza personale e al risparmio. In particolare, il 30% degli italiani ha raggiunto il livello di conoscenza adeguato della propria economia domestica rispetto al 62% della media OCSE. Insomma, è evidente: abbiamo l’urgenza di valorizzare nel dibattito pubblico le esperienze di educazione finanziaria e di diffondere spazi di aiuto e supporto. Le vittime di usura, ad esempio, devono poter accedere a percorsi globali di reinserimento nei quali poter apprendere, interrogandosi sull’esperienza e sugli errori commessi. Grande è, a tal proposito, il lavoro svolto dal Comitato Edufin e ancor più rilevante sarà nei mesi a venire in un’ottica di prevenzione e contrasto della diffusione dell’indebitamento eccessivo. Siamo alle porte di un’epoca nuova che ha il destino di sorgere da un crisi dirompente ma che offre sul piano globale l’opportunità di un ripensamento profondo. Adesso è il momento di promuovere il microcredito per le imprese e per le famiglie come strumento di inclusione finanziaria e di nuova progettualità, indispensabile per il contrasto alle nuove forme di povertà emergenti e per il reinserimento nelle comunità delle vittime di usura. Raccontare l’esperienza di Fabia Ferrato e del suo Wild Beach (vedi Microstorie pag. 80) non è quindi un esercizio di stile o puramente narrativo. La storia del lido sostenibile è esemplare per aprire le porte a una riflessione maturata ormai a più livelli: la piena adozione di pratiche sostenibili nel nostro Paese non può prescindere dalla diffusione delle esperienze nei più diversi territori e dalla capacità delle micro e piccole imprese di aderire al modello circolare. Interessante da questo punto di vista è il ragionamento proposta da ENEA, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, chiamata, come altri soggetti di rilevanza pubblica, a fornire contributi sotto forma di idee progettuali lungo il percorso di elaborazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Rispetto al vasto capitolo dell’economia circolare, Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA, ha individuato come grande sfida per la piena transizione ecologica italiana proprio l’adozione di pratiche circolari da parte delle piccole e medie imprese del Paese. “Il nostro modello produttivo – ha scritto – è composto principalmente da PMI. Nel nostro caso, per avere un effetto leva, sarebbe opportuno fornire contributi diretti soprattutto a queste ultime”. Un appello destinato a fare presa tra chi opera a fianco dei piccoli imprenditori emergenti, soprattutto qui, al Meridione, dove la volontà di resilienza deve a tutti i costi assumere le forme di un riscatto post-pandemia all’insegna dei più avanzati principi della contemporaneità. Aggiunge infatti Morabito che un ruolo chiave nella transizione ecologica italiana può essere interpretato dalle aree costiere in un’ottica di comunità circolari del mare per un Mediterraneo sostenibile. “In questo processo – ha spiegato – il nostro Paese è strategico e anche paradigmatico, sia per l’estensione della fascia costiera sia per il posizionamento nel cuore del Mediterraneo”. Come tutor non possiamo non domandarci in che modo sostenere i piccoli imprenditori emergenti nell’adesione a pratiche e modelli circolari e sostenibili per permettere loro di operare con piena consapevolezza nella direzione di una transizione ecologica concreta e capillare. Il nostro sostegno come promotori di futuro per le microimprese non è più rinviabile. Dobbiamo però agire sapendo che il percorso per i piccoli anche se strategico e fruttuoso non sempre è semplice. Lo conferma lo studio “Le PMI di fronte alle sfide dell’economia circolare” promosso dal Ministero dell’Ambiente e realizzato dall’Università di Bologna in collaborazione con Bologna Business School prima della pandemia Covid19. Progettato con l’obiettivo di comprendere le sfide e le opportunità della circolarità per le piccole e medie imprese e pubblicato ad agosto 2019 (nei mesi antecedenti, quindi, l’impatto della crisi), lo studio si è focalizzato sulla comprensione delle barriere all’adozione delle pratiche di economia circolare e dei fattori abilitanti. È interessante apprendere come tra le barriere principali risulta negativamente correlata all’adozione delle pratiche circolari la percezione della sostenibilità come un costo e la percezione diffusa della mancanza di coordinamento normativo a livello locale, nazionale ed europeo. Rispetto ai fattori abilitanti, invece, l’implementazione delle pratiche di economia circolare risulta facilitata da un processo di supporto nel reperimento di materie prime a basso impatto ambientale. Dai risultati, inoltre, si evince che la pratica maggiormente sviluppata è la raccolta differenziata, attuata dall’84% delle imprese analizzate (e favorita, forse, da un’abitudine ormai consolidata anche nel privato), seguita dal recupero e dal riutilizzo del packaging e dall’implementazione di progetti per il risparmio energetico. In generale, però, le pratiche risultano poco sviluppate tra le PMI seppur l’economia circolare possa in realtà rappresentare una opportunità reale di business. Ricordare questi numeri (non così confortanti) e raccontare piccole straordinarie storie circolari come quella di Fabia è fondamentale per prendere consapevolezza del ruolo di promotori di cambiamento possibile che come tutor dell’Ente Nazionale per il Microcredito possiamo svolgere. Siamo alle porte del Recovery Plan: in un contesto di cambiamento e di resilienza abbiamo ora la possibilità di sostenere le micro-imprese verso la pratica della circolarità.
Katia Stancato
Rivista trimestrale Microfinanza